L’azione pastorale del sacerdote Marello
II Symposium internazionale su San Giuseppe Marello 1-4 settembre 2016
“San Giuseppe Marello sacerdote e vescovo di misericordia”
L’azione pastorale del sacerdote Marello
di P. Nicola Cuccovillo
Il tema ci pone nell’arco di tempo che va dal 19.9.1868, anno di ordinazione sacerdotale del Marello, al 23.11.1888, data di nomina a Vescovo di Acqui. E’ un tema molto vasto. Qui possiamo accennare alle attività del Marello più significative. Il contesto della sua vita è quello storico-socio-politico-culturale-religioso del Piemonte e della diocesi di Asti. La formazione che veniva data nei seminari piemontesi poggiava sul trinomio pietà-studio-disciplina. Il clero piemontese generalmente spiccava per zelo pastorale, santità di costumi e ricchezza di iniziative, soprattutto a livello sociale. La santità del clero nasceva e cresceva nell’esercizio del ministero pastorale.
Appena sacerdote, il Marello è segretario di Mons. Carlo Savio, il 21.10.1868; nel 1880 diviene canonico effettivo del Duomo di Asti, poi Direttore spirituale del Seminario, Confessore dei Chierici, Direttore spirituale dell’Opera Pia Milliavacca, Cancelliere della curia, Arcidiacono del capitolo della cattedrale, Esaminatore prosinodale, quindi vescovo di Acqui. Ma il Signore volle anche altro da lui.
All’inizio ha avvertito la mancanza dell’attività pastorale diretta, pur essendo buona la sua posizione e benefico l’influsso del suo vescovo, alla cui scuola si formerà come sacerdote, anzi ne sarà il frutto migliore.
Che ne pensava della sua posizione? Pensava che c’è varietà di lavori, intreccio di qualità e di quantità, varietà solo di apparenza; ovunque ci sono difficoltà, ognuno ha il suo osso da rodere, ovunque si può servire il Signore e fare la sua volontà. Importante è lavorare nel modo e nell’intensità che Dio vuole, lasciando a Lui il compito di coordinare le opere dei suoi ministri e di fecondarle con il calore della sua grazia.
A causa delle leggi anticlericali, che poco concedevano all’attività pastorale, il Marello individua nella preghiera il più grande e più potente Apostolato che non fallisce mai. La preghiera “è il substrato di tutte le nostre azioni”. Le risorse del sacerdote sono nella preghiera. Questa affermazione lo rivela subito come uomo interiore. Nel vincolo della preghiera fin dall’inizio unisce gli amici, le loro vite e attività, da uomo che va alla radice.
Invitava con insistenza gli amici a pregare e pregare molto, a scambiarsi vicendevolmente preghiere e affetto, a vivere uniti in permanenza al cospetto del Signore, in una corrente unica di preghiera e di amore. La preghiera umile e perseverante è l’unica arma di offesa sicura contro il diavolo che attacca i sacerdoti, mentre le altre possono fallire. I tempi difficili richiedono di pregare molto, di fare la guardia da bravi militi, come un esercito permanente. All’apostolato del pugnale insanguinato di Mazzini, bisogna contrapporre con il Papa l’apostolato della preghiera. Adopera un linguaggio militaresco, in realtà la crociata è poi un severo lavoro ascetico su se stesso e non sui nemici. Il Marello si contrappone vigorosamente all’azione dei nemici, con in mano non il pugnale ma la preghiera, sulla bocca non la vendetta, ma il grido di pace al mondo, verso il quale non si è arroccato, ma posto in dialogo con il nuovo che esso portava.
Nella “diversa possibilità di far del bene”, la solidarietà nella preghiera si fa “solidarietà delle buone opere”, grande e unica risorsa in tempi difficili per le vessazioni anticlericali. Il Marello stimolava a reagire con la solidarietà. Lo scriveva a Stefano Delaude, quel gran “cervellaccio, vero arsenale di ogni cosa buona e bella” [16], da servirsene in favore della Chiesa. Lo sprona: “Dunque all’opera”. Dalla sua posizione don Marello può solo incoraggiare e pregare [18]. Il tempo del Concilio a maggior ragione richiede questo impegno. La Chiesa, scrive agli amici Delaude e Rossetti, dopo il viaggio a Torino con Mons. Savio, ha ancora tali risorse da far tremare i suoi nemici. E’ un Marello poderoso, persuasore e trascinatore. Il Marello scrive: preghiamo e preghiamo sì, fortifichiamoci nello spirito con armi spirituali, ma in tempi così torbidi e grossi gli interessi individuali e particolari devono cedere il posto agli interessi generali della Madre Chiesa [21]. Per don Marello la Chiesa deve presentarsi al mondo moderno unita e non sparsa e divisa negli interessi individuali e personali. Certamente in queste espressioni avrà influito la situazione del clero astigiano conservatore e discorde, preoccupazione e impegno per il vescovo.
Il concetto di solidarietà sarà al centro dell’Abbozzo di una Compagnia di S. Giuseppe promotrice degli interessi di Gesù, nel solco dell’associazionismo cattolico-laicale italiano, dove scrive che tutto si riduce a fare in modo che progressivamente, poco alla volta, le tante buone azioni operate individualmente si accrescano e si fecondino reciprocamente mettendole insieme, con la forza che viene dall’unità. Dirà prima che l’impegno della Compagnia come corpo sarà quello di suscitare solidalmente ogni occasione, i modi più diversi attraverso i quali mettere insieme le diverse capacità perché vi sia la cooperazione di tutti.
Prima di procedere, chiediamoci: Con quale personalità il Marello si affaccia al sacerdozio? E’ cresciuto ben formato, studioso e colto; ha realizzato la sua identità, la vocazione, nel dolore e nell’amore, nella preghiera, nella meditazione e nella mortificazione, nel dominio di sé, con fede incrollabile e volontà tenace e perseverante, non effimera; equilibrato, interiore, riflessivo, pratico, spinto all’azione, metodico nella costruzione di sé, aperto all’amicizia, al dialogo silenzioso, di animo sensibile e delicato. Famiglia, scuola, chiesa, seminario, amici, l’hanno modellato, disegnato; capace subito di offrire un modello di valori, un progetto di formazione e di vita; un’intelligenza penetrante, critico-costruttiva, capace di valutare e scegliere specialmente nei momenti difficili, positivo sempre; pronto a sentire riecheggiare fortemente nel suo animo gli avvenimenti esterni sociali ed ecclesiali (il risorgimento, la politica, la diocesi, la Chiesa, il Concilio…) e ad esprimere le sue acute valutazioni personali. Sente la vita e s’impegna a viverla, con apertura umana e cristiana, con la grazia di Dio e la dolcezza di Maria, armonizzando il passato e l’ideale vero.
Mons. Carlo Savio scelse a stargli accanto nel delicato incarico di suo segretario fino al 1881 un sacerdote retto, profondo, fatto con arte. E l’incidenza di Mons. Savio fu determinante per la sua spiritualità sacerdotale e per gli Oblati. Marello e Mons. Savio si compenetrarono lentamente a vicenda. Il vescovo fu maestro, padre e pastore per il Marello, il Marello negli ultimi anni divenne il suo confessore.
Nell’ ufficio di segretario non è caduto nella freddezza curiale, burocratica, ma è sempre stato attento ad ascoltare, ad accogliere confidenze, sensibile a rispondere, abile nel tenere i contatti e nel mettere a contatto i sacerdoti, nel far circolare idee e proposte, riservato, buon consigliere, collaboratore assiduo e preciso del vescovo nei rapporti con il clero, abile nel trasmettere le iniziative e nel sostenerle, nel prestare ogni aiuto. L’ufficio di segretario gli ha consentito di accumulare una enorme esperienza, accompagnando il suo vescovo, di incontrare autorità e personalità di ogni tipo, di partecipare ai congressi dei vescovi del Piemonte e infine al Concilio Ecumenico Vaticano I, con Roma e la visita privata al Papa. Sempre più sente la Chiesa, la vive e vibra per essa, si esprime apostolicamente su Roma, sul Concilio, sul Papa! Si fa risonanza del messaggio della vecchia Roma, dei suoi monumenti, delle belle chiese, delle catacombe, dei santi e dei martiri, della grandezza della Roma eterna che sprizza dalle stesse pietre, della fede solidificata nel tempo. Quanta gioia e partecipazione esterna per la Chiesa docente, per le proclamazioni conciliari: Papa infallibile, S. Giuseppe protettore della Chiesa universale! Se da una parte si sente italiano, vero patriota, dall’altra vero figlio della Chiesa, sacerdote dal cuore universale, ricco di fede e di energia che vuole aprirsi un varco.
Queste esperienze lo hanno aiutato, lui che era già incline alle grandi visioni, ad aprirlo a più vasti orizzonti al di là della sua Diocesi e dell’Italia, sulla Chiesa, sull’Europa, sull’umanità, sulla massa sociale, su tutte le classi. Don Marello era capace a tenere insieme in dialettica il grande e il piccolo, l’universale e il particolare, il molto e il poco, la grandezza e la santità fatta da piccole cose, da persona umile, il divino attraverso l’umano. Terrà insieme anche una dialettica di opposte forze psicologiche quali clausura e libertà, nascondimento e apertura. La sintesi sarà benefica.
La sua intelligenza è divergente, capace di svilupparsi in direzioni diverse. Per questo i problemi sociali, morali e religiosi acquistano nella sua mente ampiezza e lo trovano preparato all’impegno e alla dedizione. Le lettere giovanili ci danno un Marello già abile a spaziare nelle analisi, nelle valutazioni socio-politiche-culturali.
Intanto nella quaresima del 1969 insegna dottrina cristiana al Regio Convitto o Collegio municipale Alfieri. Lo scrive a Stefano Delaude il 20 febbraio 1869 [37], con lo sfogo forse più accorato per la gioventù trascurata, abbandonata, che certamente lo portò indietro negli anni alla sua triste esperienza giovanile a Torino [38]. Emula, come può, i compagni nella catechetica.
A fine gennaio 1869 manifesterà tutta la sua passione per il catechismo, il libro per eccellenza, all’amico Stefano Delaude [39]. Dov’è l’importanza di questa lettera, la n. 27? Nel fatto che il Marello ritiene la catechesi fortemente pedagogica, come istruzione e come educazione alla vita. Avvia alla maturità della persona integrale perché l’istruzione religiosa è aggancio ai problemi dell’uomo come persona naturale, di fede e di grazia; come persona sociale-ecclesiale; entra in tutti i settori della formazione. Il catechismo è una sintesi di vita. E’ cultura essenziale per la mente e per il cuore. Nulla di meglio da contrapporre all’uomo nuovo che usciva dalle ideologie del tempo, che proponevano un’antropologia sganciata dalla Rivelazione, tutta e solo naturale. Il Marello con acutezza afferra quanto stava nascendo e sviluppandosi a livello culturale, un tutto diverso da quello cristiano, qualcosa di epocale per il presente e per il futuro: un attacco frontale alla Rivelazione. Nella lettera n. 27 a don St. Delaude, di fine gennaio 1869, ci dà l’abbozzo della magna carta della Rivelazione e della morale cattolica, che terrà presente da vescovo, quando scriverà la sua pastorale sul Catechismo del 1894, a protezione dei cristiani e in risposta al dilagare delle ideologie contrarie al cristianesimo.
Quest’ansia per la gioventù e per la cultura religiosa troverà ampia risonanza anche nella lettera pastorale “Sull’istruzione e sull’educazione domestica della gioventù” del 1892, che passerà in eredità alla sua Congregazione ed è valida ancora oggi. Alla scuola di Mons. Savio fece suo il richiamo a tornare al Catechismo, che contiene la dottrina di Gesù Cristo da comunicare alla gente per risollevare l’Italia e l’Europa dalla crisi morale, in sintonia con la Chiesa.
A distanza di anni, nella quaresima del 1884, il catechismo quaresimale fu la prima attività che vide l’ex-teatro Politeama, a lato del complesso S. Chiara, il primo germe dell’apostolato che vide coinvolti gli Oblati. Era frequentato da operai, studenti e giovani che superavano anche i venti anni. Fu una quaresima passata alla storia della Congregazione per metodi, contenuti e serietà. Si ripeterà nel periodo quaresimale, ma la prima edizione fu eccezionale, da esaltare i fratelli al solo ricordo.
Va ricordato che don Marello, di ritorno dal Concilio Ecumenico Vaticano I, ebbe l’incarico dal vescovo di insegnare catechismo agli alunni delle scuole medie in seminario. A parte il contenuto, le testimonianze giunte sono tante e tutte sottolineano la dolcezza, l’amabilità, la mitezza, il volto sorridente di don Marello. Era chiaro, lieto, festoso e talvolta anche scherzoso: un’ottima metodologia. Il Marello, infatti, ha qualcosa da dire in campo metodologico. Questo è il suo originale contributo. La sua metodologia lo può certamente inserire nell’album dei più validi educatori. Andrebbe studiato a fondo in questa dimensione. Ha dimostrato con l’andar degli anni che possedeva un’aggiornata psicopedagogia che mette in evidenza nelle lettere pastorali: conosceva la psicologia dei fanciulli e dei giovani, i loro dinamismi intellettuali e morali; conosceva il loro positivo e negativo, la capacità recettiva, la metodologia adatta, i valori e i contenuti da offrire secondo le età. Educava attraverso i valori della mente, del cuore e della volontà, insieme. Questo è un particolare molti importante. Con i migliori pedagogisti segue secondo la necessità il metodo della valorizzazione, della positività, dell’interesse, dell’intervento tempestivo. La sua capacità educativa poggia sull’aderenza al cuore, alla ragione ed alla grazia di Dio che spinge ed illumina. Il Marello vuole costruire persuadendo, convincendo, formando personalità capaci di essere per gli altri, per l’umano e per il divino, proprio perché fa sentire gli educandi uomini solidi e saldi e in grazia, capaci di porsi nel mondo da “virtuosi cristiani ed ottimi cittadini”, consapevoli e responsabili del loro essere cristiani nella frammentazione culturale del tempo. Veramente il Marello dimostra nell’educazione di essere il passionato nel suo timbro!
La predicazione, che tanto raccomandava agli amici per l’importanza, era un po’ il prolungamento della catechesi. Amava ricordare le parole del Papa Pio IX ai predicatori romani: il segreto dell’eloquenza va cercato nella Carità. Il predicatore annuncia le verità cristiane, ma ciò che lo spinge in questo annuncio è l’amore, il desiderio di far conoscere, amare e praticare il Vangelo [45], di condurre le anime nella vita di Cristo, a rivestirsi delle virtù di Cristo, meditandolo e contemplandolo. Lo esprimerà magistralmente nella pastorale sul catechismo, dove propone Cristo ideale del cristiano. Attorno al mistero di Cristo troviamo, nella predicazione, tutti i santi, da Maria e Giuseppe, che meglio hanno partecipato al mistero di Cristo nella loro persona.
Nella predicazione il Marello era semplice, chiaro, la sua parola immediata, diretta, adatta alla cultura degli ascoltatori; sollecitava, trasportava a partecipare, a dare l’assenso del cuore. Ti accorgi nella lettura delle sintesi delle prediche di Sr. Albertina Fasolis e più ancora di Beatrice Graglia, che don Marello nella predicazione usa la psicologia del padre e della madre verso i loro figli, una psicologia veramente aderente, sostanziata di parole ed esempi pratici, concreti, di continue citazioni di Santi e Padri della Chiesa, convincenti e motivanti, che hanno fatto la scienza della Chiesa nei secoli. Le sue prediche erano un avvio alla vita devota tipica di S. Francesco di Sales, con un fervore di devozioni del tempo, sostenute da servizi liturgici molto curati. Non disdegnava la creazione della scena per stimolare la fantasia e la partecipazione emotiva, mirando a coinvolgere tutta la persona.
E’ potente nella predicazione di don Marello la valorizzazione, la positività, la prossimità personale per la risonanza psicologica, l’integrazione nell’ascoltatore. Mentre parla avverti che ti è accanto un amico che ti trasporta, mette in moto mente, cuore, corpo, a conoscere e ad agire, a entrare e muoversi insieme nel mistero; viaggi con una persona esperta di quello che dice, facilitato da esempi, modelli, sensazioni, percezioni. Specialmente per i bambini, per il popolo semplice, perché vivono e conoscono più per impressioni e sentimenti che per intelligenza formale. Smuoveva tutte le loro forze primarie.
L’Ottocento fu il secolo della predicazione. Don Marello provava un sommo piacere nell’ascoltare i migliori e famosi predicatori del suo tempo a Torino e a citarli nelle lettere, anche quelli locali e di altri città italiane. Conosceva i predicatori francesi del presente e del passato. Spirava aria di predicazione ovunque e lui non poteva tirarsi indietro. E’ preso nel vortice del lavoro, fatto di tante piccole cose: prediche da fare da una parte, catechismi dall’altra, visite, assistenze al vescovo, ordinazioni, esercizi spirituali, ecc. ecc. che gli tagliuzzano la giornata. E’ significativo che citi, prima di ogni altra attività, predicazione e catechismo.
La liturgia, cuore della fede, fu per don Marello l’itinerario favorito per la maturazione del cristiano, scuola di spiritualità. Basta leggere la stupenda sintesi che ci ha lasciato dei Sacramenti nei “Frammenti”. In essa l’Eucarestia, al centro, crea la comunità e la apre alla fraternità, alla condivisione, fa dialogare, impegna e armonizza mente, cuore, volontà, sensi, immaginazione, percezione. Apre alla fraternità, alla comunione. I discepoli di Cristo in essa vivono il dogma della comunione dei santi, che scalda dentro, incoraggia nel cammino. Per il Marello è la pedagogia della fede, come ricchezza di vita e di futuro, come sfida alla sua società avviata alla secolarizzazione, alla perdita del senso religioso, all’individualismo, alla frammentazione, al tentativo della cultura antireligiosa del tempo, avversa alla Rivelazione, di ridurre il cattolicesimo ad una setta. Le stesse devozioni, tanto care e curate da don Marello, fecero da contrafforte alla fede del popolo a questo tentativo.
Attraverso la predicazione, durante l’anno liturgico, don Marello si prefiggeva di far entrare nella vita di Cristo l’ascoltatore, facendoglielo contemplare-gustare il mistero quasi al vivo, soprattutto il mistero natalizio e pasquale, perché toccasse le corde del suo cuore e lo disponesse ad entrare nella imitazione di Cristo; a vedere Gesù nascere, crescere, muoversi nella Palestina, incontrare la gente, evangelizzare, guarire, perdonare, poi patire, morire, risorgere, salire al cielo, inviare lo Spirito Santo. Le scene parlano da sole e invitano ad imparare, ad accettare, ad entrare, a seguire il Maestro. Con l’immaginazione, portava motivazioni, suscitava gli affetti, perché tutto della persona partecipasse. Il Marello sentiva il misterioso incontro con Cristo e voleva parteciparlo con gli altri, come intreccio di anime e di cuori.
L’esperienza pastorale nella quale don Marello maggiormente ha dispiegato tutte le sue qualità educative e la sua ricchezza interiore è stata la direzione spirituale e la confessione. Fu confessore, catechista, direttore spirituale nel seminario, confessore dei chierici, direttore spirituale alle monache dell’opera pia Milliavacca, alle sorelle Graglia e certamente a tante altre persone, la cui identificazione non ci è nota. Ma già con i suoi amici il Marello aveva dato un saggio delle sue capacità, specialmente con Stefano Rossetti e con Stefano Delaude. In una lettera a quest’ultimo, dell’11 gennaio 1869, stende le linee essenziali per un progetto formativo di santità sacerdotale. In questa lettera c’è già tutta la psicopedagogia del Marello.
Ma a noi qui interessano i diari di Sr. Albertina Fasolis, delle monache dell’opera pia Milliavacca, e quello più corposo e solido di una delle tre sorelle Graglia, Beatrice. Il diario di Sr Albertina è una miniera di preziose feritoie che ci permettono di spaziare sulla spiritualità di stampo salesiano del Marello, della sua personalità e interiorità, e del suo stile di vita. Beatrice Graglia invece ci ha lasciato un diario più ampio e completo, da cui emerge che è accompagnata in un preciso cammino di perfezione, e le prediche domenicali limitatamente al 1889.
L’intesa con il Marello appare immediata, perché buono e semplice, dolce, amabile e affabile, anche se avvicinandolo certamente i figli spirituali avvertivano “il carattere”. Don Marello, affettivamente saldo, aveva una solida preparazione in teologia spirituale e attitudini per la direzione spirituale. Robusta era la sua preparazione religiosa in questo campo, fatta sulla scorta di validissimi maestri di spirito. Accompagnava seriamente nella direzione e la faceva realmente! Era nato, diciamo così, per guidare. Prendeva a cuore la persona e capiva subito i suoi problemi. Era perspicace, di buon senso, capace di giudizi prudenti, sicuri. Era sì molto esigente, a volte radicale, ma non scoraggiava, perché era empatico e molto soprannaturale. Avendo innato il senso del profondo e il bisogno di un contatto immediato con Dio, inoltrava le anime nella meditazione e nella contemplazione. Sapeva suscitare e sviluppare il senso della responsabilità della propria santificazione, anche come forza motrice dell’impegno che il discepolo deve mettere nell’azione. La sua formazione non era dunque “fuga” dal mondo, né dalle difficoltà, ma sforzo ascetico e morale. Proponeva una vita spirituale ricca e rigogliosa di sentimento e di azione. Come certamente ha desiderato per sé, così offriva agli altri una direzione illuminata, alta, soprannaturale.
Ha saputo, cosa non facile, coniugare il servizio per gli interessi di Gesù con l’adorazione, la contemplazione, la preghiera disinteressata che conduce alla follia della croce, in particolare con Beatrice Graglia. Maestro di umanità e di santità, ha fatto somma attenzione all’umanesimo integrale: il virtuoso cristiano e l’ottimo cittadino.
Occorre anche tener presente che allora si diffondevano gravi errori fra la gente, nel clero e persino nei seminari, con abile propaganda: il giansenismo, il gallicanesimo, il positivismo, il materialismo, il razionalismo in genere. Per questo il servizio di direttore spirituale fu compito delicato e di estrema importanza, richiedente una persona adatta e competente, che contribuisse con l’istruzione e l’esempio.
L’esperienza di direttore spirituale fu relativamente lunga. Forse non c’è testimonianza migliore di quella data dalla sig.na Beatrice Graglia, che vogliamo sintetizzare per tutte. In sintesi la sig.na dice che il Marello guidava l’anima sulle vie del Signore con dolcezza, soavità, sicurezza; era un direttore spirituale santo, prudente, dolce, pio e sperimentato. Sapeva attirare l’anima a Dio con un tratto così fine, così delicato, così sapiente e così forte, per cui l’anima si sentiva come portata fra le braccia di un Padre nei sentieri più scabrosi della vita. Per questo nessuno potrà mai immaginare, diceva in occasione della partenza del Marello per Acqui, il nostro amarissimo rimpianto nel trovarci prive di una così saggia e illuminata guida, di un così potente aiuto. La sofferenza per Beatrice fu grande, ma sempre disposta alla volontà di Dio. Senza volerlo Beatrice offre, nella sua testimonianza, le linee essenziali di un trattato sulla direzione spirituale e sulla figura del direttore spirituale. Dall’altra ci svela il tipo di cammino spirituale che aveva compiuto sotto la guida prudente e saggia del Marello. Leggiamo tutto questo in una nota che segue un consiglio del 4 gennaio 1889.
Dai consigli, dagli insegnamenti e dalle omelie emerge una notevolissima cultura religiosa del Marello. I suoi maestri spirituali furono i tre che fecero scuola nell’Ottocento: S. Ignazio di Loyola, S. Francesco di Sales, S. Alfonso Maria de Liguori. Con questi ne cita tanti altri; spazia nella storia della Chiesa. Non è possibile conoscere tutti i libri che ha letto, perché a volte non cita. E’ stato capace ad operare una sintesi armoniosa. Dei tre sopra menzionati ha assimilato il pensiero, che fa sostanzia la sua predicazione e direzione spirituale. Il sottoscritto, che ha scritto un saggio sulle “Traccia di Conferenze sul Cristianesimo” (1867-1868), può affermare, a partire da esse, che il Marello possedeva anche una vastissima conoscenza della cultura profana e che aveva un grosso progetto, non realizzato, di rispondere all’avanzata della cultura moderna in difesa della Rivelazione. Don Marello era preparato. Questa preparazione la richiedeva anche la Chiesa per i sacerdoti, a fronte di intellettuali anticattolici preparati e agguerriti scientificamente. Occorreva perciò non soltanto un clero pio, ma anche preparato alla predicazione, alla direzione spirituale e alla confessione, onde formare e responsabilizzare i cristiani, soprattutto i giovani. Lo stesso Marello raccomandava un buon libro spirituale, un buon direttore di coscienza.
Quanto diremo ora ha una certa somiglianza con la direzione spirituale. Nella lettera n. 31, del 5 febbraio 1869, in relazione ai fanciulli e al laicato cristiano, don Marello fa a Delaude la proposta di diffondere, con una biblioteca circolante, la buona stampa tra la gioventù e di tenere conferenze morali-educative a Castell’Alfero sia per sviluppare la cultura religiosa sia per contrastare la stampa anticlericale agguerrita e penetrante. La proposta del Marello è ben congegnata, mettendosi anche il lui a disposizione. Nella lettera n. 83 al canonico Giovanni Cerruti, del 25 ottobre 1872, in cui delinea l’Abbozzo di una Compagnia di S. Giuseppe promotrice degli interessi di Gesù, come vedremo, propone di mettere in circolazione le molte centinaia di volumi che con gli amici andava accumulando da cinque anni, quindi dal periodo del seminario. Da segretario del vescovo aveva già l’incarico di promuovere nella diocesi la diffusione di buoni libri. Il materiale da diffondere comprende anche fogli per la S. Messa e immaginette. Al Marello stava veramente a cuore la gioventù e con essa anche il laicato adulto. Era un’iniziativa attuale e moderna per arginare l’avanzata dell’abbondantissima cultura antireligiosa, trasmessa attraverso riviste, giornali, libri, in opposizione alla Chiesa, in fondo alla Rivelazione. A don Giuseppe Riccio notifica, il 27 giugno 1871, che in Asti circolano quattro cattivi giornali che combattono la religione e chi la professa con i loro fuochi incrociati di calunnie e caricature più infami. Bisognava dunque preparare e responsabilizzare i cristiani a partire dai giovani, formando la loro coscienza, di fronte alla scristianizzazione incalzante, alla irreligiosità, all’umanesimo ateo. L’istruzione religiosa era la preoccupazione e la sofferenza della Chiesa che il Marello fece sua. In merito consigliamo la lettura del discorso che il vescovo Marello tenne alle Figlie di Maria il 12 maggio 1889, in occasione della prima vestizione [68]. Le invita alla responsabilità e alla consapevolezza della loro fede di fronte al mondo, a non temere il sorriso e lo scherno, a dimostrarsi apertamente cristiane, a imitazione di S. Agnese. Ad Acqui scriverà, nel 1893, la quinta lettera pastorale “Sul rispetto umano” .
Nella stessa preoccupazione, riguardante il laicato adulto, nell’ottobre 1872 pensava di dare vita ad un’associazione, già accennata, per curare gli interessi di Gesù: la ”Compagnia di S. Giuseppe”, nella nuova chiesa del Gesù al Michelerio. Con uno stile suo, aderente ai bisogni dei tempi, il Marello accoglieva l’invito dei vescovi piemontesi ad istituire società operaie, ad animare il laicato cattolico. Appare il cosiddetto prete sociale, che progetta un’associazione di tipo laicale. Lo scopo era chiaro: pregare e realizzare opere concrete e mirate (circolazione di buone letture ed un Emporio cattolico) nel promuovere “i cari interessi di Gesù”, prendendo le proprie ispirazioni da S. Giuseppe, il primo a custodire e proteggere Gesù infante.
In questa progetto, il Marello appare come il prete pronto a cogliere i suggerimenti, le preoccupazioni, le ansie, reattivo, attento ai tempi, zelante e sollecito, al quale sta veramente a cuore il bene della diocesi, della Chiesa e delle anime, il regno di Dio. In linea con il risveglio delle diocesi italiane, esprime il desiderio di progettare, alle dipendenze dell’Autorità, in spirito di unione sotto gli auspici di S. Giuseppe, da cui prendere sempre le ispirazioni, a servire gli interessi di Gesù, a custodire e proteggere come S. Giuseppe l’umanità di Cristo, nel vincolo della carità, senza alcun affidamento sul concorso degli aiuti e appoggi umani. Questo intento diverrà ispirazione programmatica della sua vita e lo proporrà agli altri, a servizio di Cristo e della Chiesa.
L’associazione ideata non ebbe vita, tuttavia la spiritualità giuseppina in essa contenuta rimarrà e animerà la nuova Compagnia del 1877. Il seme è gettato e comincia a prendere forma e concretezza nel silenzio: l’uomo offerto agli altri, l’uomo apostolo della Chiesa, il progetto Oblato: l’architrave della spiritualità di don Marello.
Prende sempre più forma nel suo animo lo specifico comportamento di uomo offerto/oblato. In lui è in atto una dialettica degli opposti: Certosino e Apostolo, uomo mistico e apostolo, dialettica che prenderà sempre più corpo sulla scia dell’estasi dell’azione di S. Francesco di Sales. Si tratta di un ideale che viene messo in atto e che sarà la caratteristica dei suoi dinamismi psicologici-spirituali. E’ dal progetto oblato, che noi possiamo ridisegnare le grandi linee della psicopedagogia marelliana e trarne insegnamenti per l’azione pastorale e la formazione.
Proprio nell’arco di tempo, infatti, che va dal 1872 al 1878, don Marello si sentì attratto alla trappa. Già nella lettera n. 29 del 3 febbraio 1869, scritta a St. Dealude , c’è un primo accenno, da parte dei due amici, di una possibile chiamata alla vita religiosa. Pregano perché il Signore li illumini e faccia loro intendere la sua volontà, attraverso anche il Concilio, premettendo per ora una seria e vigorosa pratica delle virtù. Ne parlerà poi anche con St. Rossetti il 7 ottobre 1869, a proposito di apice della perfezione non facile da raggiungere, richiedente l’uniformità compiuta ai voleri di Dio. Che cosa voleva da lui il Signore: la trappa con il suo silenzio da cui era molto attratto o l’apostolato? Mons. Savio lo esortò a pregare, a riflettere, pur indicandogli il lavoro nel mondo. Nel 1877 pare ormai superato questo travaglio. Riteniamo che il Marello abbia trovato una risposta soddisfacente nell’estasi dell’azione di S. Francesco di Sales: immerso nel divino, immerso nell’azione, “mistico dell’azione”. Nessuna tensione per la carità.
Il 14 marzo 1878 dà vita, nel Michelerio, ai Fratelli Oblati di S. Giuseppe, per ripristinare la vita religiosa in Asti, perché i consigli evangelici fossero praticati da un certo numero di cristiani, perché qualcuno volesse ancora farsi discepolo del divino Maestro, con le caratteristiche della grotta di Betlemme. In poche parole il Marello racchiude tutto il “progetto oblato”.
La Chiesa del Gesù il 19 marzo 1879 divenne il nido della Congregazione perché in quella data avvenne la prima vestizione dei Fratelli, in essa i primi confratelli pregarono, cantarono, meditarono, svolsero le funzioni religiose. In quella chiesa già prima don Marello aveva istituito una sezione della pia associazione delle dame della adorazione perpetua; lì il Marello aveva dato l’avvio all’adorazione eucaristica del giovedì, alla quale partecipavano molte persone. In quella Chiesa, dal 1873, per fronteggiare la irreligiosità, la negazione della fede, amava pregare e predicare, farne un cenacolo di preghiera, di formazione alle virtù cristiane, attinte alla scuola di Gesù e di S. Giuseppe.
La “Casa di S. Giuseppe”, quindi una famiglia, è aperta a chi si sente inclinato ad affratellarsi con altri. In essa si prega, si medita, si contempla, si lavora, ma ugualmente si è protesi alle necessità delle parrocchie diocesane, nel servizio in aiuto ai parroci. Pronti e disponibili tutti, nel distacco effettivo, a offrirsi. Il dono della loro vita è a Dio per la Chiesa, là dove la Provvidenza li chiamerà. E’ il progetto Oblato, architrave della vita spirituale del Marello, che passa in eredità ai suoi figli; una scelta che qualifica e caratterizza sul modello che è S. Giuseppe, nel solco della rinuncia evangelica, anche per chi non è atto agli studi. I fratelli sono “Oblati” .
Lasciando agli storici la genesi della fondazione nella mente del Fondatore e nella volontà di Dio, come una piccola pianta crebbe la Congregazione, la cui storia, dopo i primi anni al Michelerio, si intreccia con quella dell’ex monastero di S. Chiara, in cui, all’ombra dell’Ospizio-Cronici, la Congregazione, si sviluppa ben protetta agli occhi dell’anticlericalismo astigiano. La presenza del Marello in S. Chiara, avvenuta nell’ottobre 1885, il 4.11.1884 per i fratelli, diede formazione, conforto e sicurezza ai Fratelli, calore, consolazione, pane e un letto agli anziani e agli orfani, tutto all’insegna della carità di tanti benefattori e della Provvidenza, del totale disinteresse da parte delle suore e dei Fratelli.
Santa Chiara, sotto il manto di S. Giuseppe, era una gran bella famiglia, in cui si dispiegava la carità del Marello. Le varie piccole famiglie, sostenute dalla Provvidenza, riverberavano l’armonia celeste. In un’opera di misericordia si sviluppa e cresce il progetto oblato, il religioso mistico e operoso insieme, certosino e apostolo nella realtà di Asti.
L’azione pastorale dei Fratelli e dei primi sacerdoti può essere ritenuta una espansione dell’attività pastorale di don Marello. Accenniamo all’aiuto alle parrocchie sprovviste di parroco e senza prebenda, alle più svariate forme di apostolato svolte dai sacerdoti e dai Fratelli nelle parrocchie, all’apostolato del catechismo con entusiasmo e fervida creatività, sotto l’autorità e l’ubbidienza al vescovo. Era proprio questo l’apostolato che il Marello, che aveva presente la riduzione del clero secolare valido, inculcava agli oblati, che rendeva gli oblati imitatori nel ministero a quello reso da Giuseppe a Gesù sulla terra, all’umanità sua sacratissima. Era lo spirito missionario originale degli oblati, lì dove la Provvidenza rappresentata dall’Autorità li mandava sotto la guida di S. Giuseppe.
La vita sacerdotale del Marello non ha conosciuto eventi particolari, con un tocco, diciamo, che colpisca l’occhio. Diceva che S. Giuseppe non fece cose straordinarie e anche Gesù aveva compiuto pochi atti straordinari ed eroici nella sua vita [80]. Erano il ministero sacerdotale e gli uffici a indicargli giornalmente opere, decisioni e responsabilità, nella santa indifferenza.
Il Marello, con la poca salute, svolgeva bene e con calma compiti d’ufficio e pastorali, fedele al principio “age quod agis” che inculcava agli altri e praticava lui per primo. L’”age quod agis” lo condusse sulla via della straordinarietà nelle cose ordinarie.
All’inizio abbiamo tratteggiato il Marello che Mons. Carlo Savio ha trovato. Ora possiamo dire: questo è il Marello che andrà vescovo ad Acqui. Un sacerdote diocesano con il carisma di fondatore, che ha portato ad Acqui tutta la sua ricchezza e originalità spirituale. Un buon pastore, misericordioso, che si lancia tranquillo e fidente in Cristo nel mare più vasto in cui lo vuole la volontà di Dio.
La famiglia, il suo parroco Giovanni Battista Torchio e Mons. C. Savio, la scuola, gli amici, il seminario, furono gli strumenti dell’artista divino lo Spirito Santo, che modellò e disegnò ad arte la sua personalità umana-cristiana-sacerdotale. Frutto maturo di Mons. Savio, che lo accompagnò a divenire uomo offerto/oblato, e a comporre la meravigliosa sintesi: Certosino ed Apostolo.
Nella lettera che Mons. Giuseppe Ronco inviò a Mons. Giuseppe Pagella il 28 novembre 1888 leggiamo in sintesi il bellissimo profilo della personalità di don Marello. Riportiamo la conclusione. “Eccole, Monsignor Vicario Capitolare Carissimo, descritto pedantescamente la gemma preziosa di sacerdote, che è il Can. Arcidiacono D. Giuseppe Marello, che il Santo Padre in nome di Dio volle regalare alla Vedovata Chiesa Acquese. Egli è una benedizione che perde Asti ed acquista Acqui. La sua vita è un indefesso esercizio di sante virtù, di zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime, di opere misericordiose verso i poverelli. E tutto questo tesoro è nascosto sotto l’involucro della più schietta umiltà: Qui se humiliat exaltabitur. La mitezza d’animo in lui traspare fedele compagna in ogni atto, ed è nobile insegna di più nobili vittorie”.